Le Antiche Cantine Caggiano - Taurasi
Il 20 marzo 2009 ho avuto la fortuna di accompagnare un mio amico sommelier, in visita alle Antiche Cantine Caggiano di Taurasi AV, ospite del patron Antonio Caggiano, padre del Taurasi, uno degli aglianici più famosi al mondo.
Alla vista della mia macchina fotografica, il sig. Antonio ci ha rivelato che prima di dar vita alla sua cantina, nel 1991, è stato un grande appassionato di fotografia, con uno spiccato interesse per la ritrattistica. Il suo arsenale di lavoro: una Nikon F4, una D70 e una D200. Per la fotografia ha girato il mondo accompagnandosi a modelle meravigliose, e la nostra prima tappa della visita è stata proprio nel museo fotografico che fa da anticamera alle cantine. Sulle pareti, foto della potatura, della pratica degli innesti e di alcune campagne pubblicitarie.
Ci ha mostrato inoltre un album fotografico contenente alcuni degli scatti più belli fatti negli anni '90 durante le sue due spedizioni che più gli sono care: Polo Nord e deserto del Sahara. Durante questi viaggi sono nati i nomi di due dei suoi vini: il Bechar, fiano di Avellino, dal nome di una città algerina e Devon, greco di tufo, dal nome di un isola dei mari del Nord da lui attraversata durante la spedizione al Polo Nord e sulla quale è stato protagonista di un incontro abbastanza speciale con un orso polare. Da questa sala si accede, attraverso un cancelletto che ricorda molto le carceri medievali, alle cantine vere e proprie che si sviluppano su cinque piani sotterranei. Le cantine, iniziate nel 1991, sono realizzate con materiali di recupero, raccolti qua e là dalle macerie abbondanate del terremoto del 1980. Mentre scendiamo, il sig Antonio ci spiega che le sue cantine nascono dalla volontà di dare voce alla storia e alle tradizioni di un territorio che grazie al mercato del vino era riuscito ad avere visibilità su tutto il territorio nazionale ed oltre. Con grande passione ci racconta di quando era ragazzino e di quanto lui fosse legato a queste terre, che adesso rischiano di dimenticare ogni tradizione, per la corsa al business e al profitto. La sua, ci spiega, è una cantina con una produzione abbastanza ridotta (circa 150.000 bottiglie all'anno) che però punta alla qualità e alla purezza dei suoi vini. Tutte le bottiglie in invecchiamento, sono poste in nicchie ricavate dalle pareti; quelle destinate ai mercati esteri si distinguono dalle altre per la presenza di un sigillo in ceralacca e di un'etichetta che ne riporta la destinazione, i risultati delle analisi chimiche e molte altre informazioni.
Scendendo ancora di un piano ci ritroviamo nel cuore della cantina, sede di centinaia di botti in legno di rovere francese contenenti i diversi vini in invecchiamento. La particolarità che subito salta agli occhi attraversando questo affascinante labirinto di corridoi, e di cui il signor Antonio non riesce a nasconderne l'orgoglio, è che la cantina non è semplicemente un deposito di botti, bottiglie e tinozze, ma un vero e proprio museo della cultura vitivinicola. Infatti in ogni angolo, su ogni parete, e nei molteplici incavi ricavati dalle mura in pietra è possibile scorgere arnesi e utensili tipici della pratica di viticoltore. Ci spiega, infatti, Antonio che è sua intenzione, a breve, aprire, all'interno delle sue cantine un vero e proprio museo del vino e dell'arte vitivinicola. Agli utensili e alle centinaia di botti si affiancano una varietà di opere d'arte in legno, vetro e pietra, alcune realizzate dallo stesso Antonio, altre regalate da amici artisti che rendono l'atmosfera ancor più suggestiva ed il viaggio ancor più interessante e appassionante. Ad esempio in una sala della cantina troviamo un presepe le cui statue, dalle dimensioni in media di circa 30/40 cm, sono realizzate tutte in legno. In una grotta ricavata nella pietra, c'è una bellissima immagine di un crocifisso, realizzata da Antonio e riprodotta su vetro da un maestro vetraio locale, che grazie alla luce di un faretto proietta la propria ombra sulla parete posteriore, creando un bellissimo gioco di luci ed ombre. Scendendo ancora di un piano ci ritroviamo nella sala più grande di tutto l'edificio, dove su una parete domina un enorme crocifisso fatto di bottiglie, ai cui lati si intravedono altri due crocifissi di mattoni, una riproduzione del Golgota, il luogo del Calvario. Da questa enorme sala si passa alla zona della lavorazione dell'uva, attraverso un corridoio ancora in fase di completamento: netto è il salto dal presente al passato nell'architettura delle due aree.
Questa parte della cantina si sviluppa su due livelli: la sala dell'imbottigliamento e dell'etichettatura da cui partono gli scatoloni con le bottiglie già pronte per raggiungere le nostre tavole e la sala della lavorazione dell'uva dal momento in cui arriva in cantina direttamente dai campi al momento in cui, il vino ottenuto, viene posto nelle botti ad invecchiare. L'uva raccolta, dopo essere stata più volte selezionata, attraverso varinastri trasportatori viene sversata nelle macchine pigiatrici. Il mosto insieme con la vinaccia viene quindi introdotto in enormi contenitori di acciaio per la fermentazione ed il "rimontaggio", cioè il rimescolamento che ne facilita la fermentazione. Tra questi ultimi troviamo enormi "betoniere" che effettuano il "rimontaggio" in maniera automatizzata.
Il vino, infine, completata la fase di fermentazione, attraverso degli impianti interni viene sversato nelle botti ad invecchiare diversi mesi per poi essere imbottigliato, etichettato e servito sulle tavole dei ristoranti di tutto il mondo.
Alla fine non poteva mancare una bella foto con Antonio Caggiano (al centro) che tiene tra le mani la storica bottiglia di Taurasi - Macchie dei Goti anno 1994 con dedica del prof. Moio, uno dei maggiori enologi italiani. E qui finisce il racconto di un pomeriggio con un grande uomo e una grande storia. Concludo il mio racconto con una massima che Antonio ha più volte ripetuto durante il nostro incontro: "Prima di stappare una bottiglia di vino, bisogna conoscerne la storia, le persone e le sensazioni che hanno portato a quel risultato".